Pier Paolo Pasolini e l'incapacità d'essere solo

di Giusy Antonaci
Fotografia: Federico Garolla (1925-2012), "Pasolini gioca a calcio con i ragazzi della borgata romana di Centocelle".
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Le poesie di Pasolini non si commentano. 
È come varcare la soglia di un tempio e profanarlo. 
Le sue parole sono note lievi sussurrate, acuti che sfondano le mura del silenzio e dell'emarginazione, urla disperate di ribellione, d'angoscia, di solitudine. 
Il suo mondo è dentro la storia, è vita vissuta tra la fatica e il sudore dei proletari coi fazzoletti rossi e gli strilli dei ragazzacci delle borgate romane, che giocano a pallone e ridono alle nuvole. 
È un mondo di pensieri indipendenti, continuamente in cerca di verità, che non sono sogni ma coscienza di classe vigorosa, leale, che si fa sempre più forte, forse talvolta inciampa, ma dopo si rialza. 
La sua voce non teme di farsi sentire perché è la voce seria dell'intellettuale, che si solleva su ogni ipocrisia. Le sue ragioni sono sfacciatamente vere, sfacciatamente umane. 
Le poesie di Pasolini non si commentano. 
Se ne può solo parlare, come si fa tra amici o conoscenti, che hanno amato qualcosa di lui, magari per scambiarsi quello che ha toccato maggiormente il cuore in versi appassionati. 
Versi da fare scorrere come acque di un fiume, che s'infrangono sugli scogli della menzogna limitanti il suo corso, che erodono i lidi del potere e infine diventano rapide che travolgono le verità borghesi poco salde. 
Di quei versi si può sottolineare solo la forza dei sentimenti, la delicatezza della natura descritta mentre assiste e partecipa all'agire umano, l'ondeggiare dell'amore nella campagna tra moti d'estasi e spazi immensi di solitudine. 
La solitudine che attanaglia un uomo ebbro d'amore, incapace di vivere con un'ombra nell'oscura incertezza di un giorno che muore. Tutto è oscurità e silenzio in quella sera fatale che richiama la sera foscoliana. Ma non è porto di quiete, solo eterna angoscia, che non si può frenare e spinge con forza dentro l'anima fino a soffocarla. 
Anche in altri momenti, Pasolini affronta questo tema amaro: "Bisogna essere molto forti per amare la solitudine/avere buone gambe e una resistenza fuori dal comune"/. 
Ma in questo caso, la solitudine si ama perché implica riflessione, indipendenza, libertà. Solo questi baluardi possono farne sentire meno il peso, anche se "bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani per resistere alla solitudine". 
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Senza di te tornavo

Senza di te tornavo, come ebbro, 
non più capace d'esser solo, a sera
quando le stanche nuvole dileguano
nel buio incerto. 
Mille volte son stato così solo
dacché son vivo e mille uguali sere
m'hanno oscurato agli occhi l'erba, i monti, 
le campagne, le nuvole. 
Solo nel giorno, e poi dentro il silenzio 
della fatal sera. Ed ora, ebbro, 
torno senza di te, e al mio fianco 
c'è solo l'ombra. 
E mi sarai lontano mille volte,
e poi, per sempre. Io non so frenare
quest'angoscia che monta dentro al seno;
essere solo. 
[Pier Paolo Pasolini]

Bibliografia 
Pier Paolo Pasolini,Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 2003
Pier Paolo Pasolini, Trasumanar e organizzar, Milano, Garzanti, 1971 (La solitudine, vv. 1-2, 51-52)

 
 
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